36° anniversario


 

30 aprile
1984-2020
36° Anniversario

NULLA DA FESTEGGIARE
Un brindisi solo virtuale al 36° anniversario ed alla storia del mio ristorante.
La causa, un malanno che in tutto il mondo ha costretto non solo le persone a restarsene rinchiuse nelle proprie abitazioni oramai da oltre 50 giorni, ma addirittura portandosene via troppe!

Termini ingiuriosi ed offensivi rappresentano un modo di esprimersi, di grande intimità e confidenza tra gli interlocutori, mai ovviamente in ambito formale sebbene in questo momento storico della nostra vita non se ne possa quasi fare a meno. Ci scapperebbe un bel “mavaffa”…che tradotto con un lifting ridicolo lo possiamo far passare come -ma basta, non infastidirmi più!-

Era il lontano 1984 quando io e mia moglie Silvia decidemmo di metterci in gioco subentrando in una piccola trattoria nella parte vecchia della Bergamo bassa, un’antica via d’accesso alla Città Alta. Aprimmo con l’aiuto di mia madre ai fornelli. Silvia, 24 anni, si mise a fianco della suocera, io ventisettenne, curavo tutto il resto. Quel 30 aprile, primo giorno di lavoro, ci trovammo subito in difficoltà. Mancava parte dell’attrezzatura, non avevamo stabilito regole, insufficiente il numero dei collaboratori, senza contare che si trattava della giornata precedente la festività del 1° maggio, data generalmente affollata nel calendario di un ristorante. In cucina lavorammo coi piedi nell’acqua. Non avevamo previsto la pulizia degli scarichi, incrostati probabilmente già con la vecchia gestione. La targa al neon in plastica, dell’insegna sulla facciata venne sostituita con un’altra che riportava il nome di mio padre col quale collaboravo già da parecchi anni nella trattoria Lio Pellegrini alle porte di Bergamo.
Il vecchio gerente dal quale avevamo rilevato la licenza, lasciò all’interno della sala ed all’ingresso alcune felci ed un paio di ficus benjamin in materiale sintetico, talmente kitsch da rendere invisibili quei pochi oggetti piuttosto eleganti e per noi preziosi che nei giorni precedenti l’apertura, avevo cercato di sistemare qua e là per il ristorante.
Forse la novità, forse il buon nome già un poco conosciuto per le fatate mani di mia mamma Nila, quel giorno e quelli successivi, sebbene senza cerimonie d’inaugurazione e senza pubblicità, ci presero di sorpresa, ricevendo presto un discreto numero di coperti.
Un paio d’anni dopo, a causa di forze maggiori: la nascita del nostro primo figlio Mattia e poco dopo il rientro di mia madre nella sua Toscana, mi ritrovai ai fornelli. Inesperto e impacciato ma con l’aiuto di Didier, un ragazzo belga della mia età già piuttosto esperto di cucina e da qualche tempo al fianco di mia madre.
Gioie e dolori da allora. Certamente più le soddisfazioni ma anche qualche sofferenza, affrontate fortunatamente senza soste o incertezze.
Col principio del nuovo anno ci concedemmo una breve vacanza a Parigi. Era per tutti e due la prima volta. Fu nulla la magia romantica e bellissima di quella città confrontata all’entusiasmo seduti alle tavole dei primi ristoranti osannati dalla critica francese.
Tutto era stupore: l’accoglienza, il servizio, i fiori, le stoviglie, le luci, il cibo! Un vero e proprio “coup de foudre”!
Tornammo a Bergamo pervasi da un immenso piacere e con la mente che s’era aperta a nuove idee, malgrado assai confuse tra loro ma col proposito di mettere a frutto quell’esperienza tanto elettrizzante.
Iniziammo ad adornare i tavoli e gli angoli più in luce della sala coi fiori freschi, nuova biancheria, le posate belle, il piattino del pane, le stoviglie appropriate… Rivedemmo i piatti della Carta, allora scritta ogni giorno a mano, privandoli di inutili fronzoli e ridondanza di grassi per renderli essenziali.

Aprimmo il giardino alcuni anni dopo. A lungo desiderato era ora una realtà: un’oasi verde, colorata e silenziosa, adiacente uno dei pubblici parchi cittadini, per le serate più calde.
Scrissero di noi i primi articoli sui giornali, poi la nascita del secondo figlio Lorenzo Pietro ed in seguito l’apertura di una confortevole camera, con affaccio sul giardino, esclusivamente per il pernottamento dei nostri clienti.

In tanti anni non sono mancati i momenti bui come quelli causati dalla lunga crisi economica del 2009 e con essi la difficoltà a perseverare con proposte di cucina impegnativa e gravata da alti costi. Una strada con qualche insidia dunque, sulla quale abbiamo incontrato anche persone non troppo perbene ma non ce ne siamo curati troppo con la volontà di raccontare il nostro percorso, i nostri intendimenti riguardo il cibo e le nostre emozioni.
I viaggi in altri paesi, ma soprattutto in Francia, sono ancora frequenti: nei grandi ristoranti ma pure nei bistrot che parlano del territorio e della vera cultura di quel paese. Ogni volta sicuramente un’esperienza, una fantasia, un’invenzione dalle quali attingere, dando nuove interpretazione al nostro ristorante.
Personalmente sono rimasto ancorato alla tradizione classica del buon cibo. Dicono fuori moda, eppure io la ritengo un patrimonio d’alto valore che non può essere dimenticato o liquidato. Parecchi classici della cucina italiana debbono essere salvaguardati dai tanti ed accorti interpreti che ancora li propongono. Non può essere definito degradante l’aver scelto di mantenere saldi i legami col passato. Il proliferare di mistificazioni e la quasi estinzione delle autentiche trattorie, delle materie prime provenienti da allevatori, raccoglitori e coltivatori sensibili, la ricerca affannosa dell’ingrediente esotico ed insolito hanno ridotto in frantumi la cucina del territorio, di un’Italia intera e di un “food made in Italy”, sempre più scopiazzato in ogni parte del mondo per promuovere un modello di stravaganza effimera e commerciale fine a se stessa e non sempre propriamente “gourmet”.
Ed ecco allora l’avvento di una cucina, anche in Italia, destinata ad un costante processo in continuo mutamento e conseguente perdita di quel segno e quel senso di appartenenza che dovrebbe contraddistingue le nostre tradizioni. I tempi cambiano è vero e con essi i cuochi appassionati che desiderano perfezionare il proprio talento, ma io credo debbano crescere interpretando la migliore cucina possibile senza stravolgere o estirpare le sue radici.  Attenzione e riguardo dunque agli allergeni, agli ingredienti tipici, alla presentazione del cibo e dei colori nel piatto, applicando tutte le normative sulla sicurezza alimentare. Purtroppo si cominciano ad intravedere ferite e cicatrici della falsificazione, della copia, della contraffazione. Piatti ingannevoli, incomprensibili per i non addetti ai lavori, rubati qua e là per il mondo da parte di troppe sagaci figure in cucina e domestici di sala che recitano didatticamente al tavolo quasi fossero sul palco d’un teatro. Cosa mai ne sarà delle nuove generazioni? Oggi i ragazzi seguono scuole, corsi e mille stage, tecniche avveniristiche di cottura, nuove gestualità e nomenclature fantasiose dei piatti ma in fondo stiamo formando individui protocollati ad un modello già obsolescente per l’incalzare di novelle mode e continui fermenti. I giovani, più di altri, guardano con ammirazione i programmi televisivi, seguono i blog e le riviste di cucina (in numero indefinibile) con ammirazione per i loro attori ed autori.
Solo fino ad un paio di generazioni fa il successo di un ristorante veniva determinato dalla qualità del cibo, oggi la propensione di tanti cuochi dai pensieri eccentrici e filosofici, è quella di impressionare ad ogni costo deformando qualsiasi cosa anziché mantenerla nella sua già perfetta realizzazione. La critica, e conseguentemente il pubblico, che li ha eletti paladini della nuova tendenza li acclama e li celebra. Sciaguratamente la moda, che poi è spettacolo, troppo spesso ci impone travestimenti da clown e le sue momentanee leggi.
Grazie a finanziatori reattivi, vengono aperte, low cost, sedi distaccate di rinomati ristoranti e personaggi mediatici. In genere, ma ovviamente non sempre, il fine è quello di incamerare utili volti a rifocillare le casse mai sazie della casa madre, certamente di moda ma dai limitati profitti.
Comunque sia, oggigiorno disponiamo fortunatamente di un’ampia scelta di ristoranti. Il piacere di poter scegliere un ambiente od una cucina piuttosto che l’altra, è indice di benessere generale e dedizione da parte di tutti coloro che hanno scelto di offrire gioia e soddisfazione, non solo fisica, a coloro che ne varcano la soglia. La nostra casa vuole principalmente essere un luogo sicuro, dai toni caldi, dove trovare tranquillità per rilassare mente e corpo, simile ad un rifugio per far star bene le persone tra loro.
Mi angosciano queste interminabili settimane “sospese”! Ci privano della libertà e possibilità di incontrare amici e conoscenti, avvicinandoci maggiormente ad una certa felicità e benessere interiore.
Insieme ai miei familiari e collaboratori reagiremo garbatamente con ferrea volontà al sabotaggio creato da un malevolo patogeno che mai potrà cancellare l’intreccio di eredità tramandate e da tramandare, le quali hanno tessuto tutto quello che, dopo 36 anni, rappresenta oggi Lio Pellegrini.