REBOOT


18 maggio 2020, una data da ricordare soprattutto per coloro che svolgono il mio mestiere.
Questo il giorno in cui il governo ha decretato la ripresa delle nostre attività chiuse ed isolate dal resto del mondo come i ragazzi giapponesi “hikikomeri”,
così definiti quelli che all’interno nelle loro camere, non parlano né interagiscono con nessuno se non attraverso supporti telematici.
Abbiamo lottato ed ancora lo faremo, contro un virus “coronato” di tanta e necessaria attenzione mediatica, senza poter fare nulla.
Un ossimoro: una lotta inerme!
Rammento una vecchia intervista intorno alla fine degli anni ottanta rilasciata all’amico Elio Ghisalberti, seduti ad un tavolino del Balzer,
al quale facevo notare quanto pensassi fosse inutile il mio mestiere qualora ci trovassimo in tempi di guerra.
“Ma no”, rispose raffigurandomi più al cuoco che al ristoratore, “un lavoro il tuo, utile almeno a sfamare la truppa…”.
Ripensando a quelle parole, mi rattrista invece riscontrare quanto inutile sia stata durante il lungo letargo la mia professione:
s’è trattato, per quanto diverso, d’un vero conflitto mondiale!
Imperativo adesso è quello di riprendere le nostre attività soprattutto mentali, lungi dal l’hikikomori che se pur difficile da spiegare
a chi mai provenisse da un’altra galassia, nulla ha a che fare con l’esserci accartocciati nelle nostre case con nobile ed eroica volontà.
L’apocalisse della ristorazione durerà a lungo e cambieranno tante abitudini.
Il nostro settore dovrà modellarsi o riconvertirsi senza nessuna garanzia di riuscita.
I ristoranti saranno in “modalità provvisoria” cercando in particolare di trovare soluzioni idonee per mantenere i dipendenti.
In primavera è stato perso tra il 30/40% del fatturato annuale. Alcuni non si riprenderanno.
Il costo della retribuzione diventerà così un elemento cardine, perché sarà essenziale non ritrovarsi con uno staff completo
ed un ristorante riempito per un terzo se non della metà. La sala dovrà adattarsi a nuove condizioni certamente molto restrittive.
Tutto il personale di servizio dovrà rafforzare le proprie capacità sociali legate all’accoglienza, facendo affidamento sulle competenze tecniche già acquisite.
Le cameriere e i camerieri, in particolare, dovranno andare oltre la missione di “portare felicità” per diventare “ambasciatori di sicurezza”.
Tutti animati di buon umore, che dovranno essere in grado di sprigionare con gli occhi a causa della copertura imposta
ad una parte del viso con difficoltà a mantenere indossata la mascherina per ore e conseguente respiro affannoso che potrebbe rasentare l’iperventilazione.
Come per tutte le attività commerciali, anche la nostra fa leva sul sorriso verso i clienti.
Peraltro senza nemmeno osar pensare ad “una seconda ondata”!
La vita è triste senza questi luoghi di aggregazione.
Ripartiamo dunque con forza ed entusiasmo per sconfiggere il fantasma e perdonateci eventuali disattenzioni:
siamo reduci di una piccola grande guerra ma utilizzeremo le nostre mani (seppure rivestite in nitrile) per donare “un piacere buono”.
 giuliano, 18 maggio 2020